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ÀRBORES, LA STORIA DEI BOSCHI SARDI NEL NUOVO FILM DI FRANCESCO BUSSALAI
IL regista ha spiegato a SE24 il suo ultimo lavoro sul Monte Ortobene, Grazia Deledda e la storia perduta degli alberi della Sardegna

DIDASCALIA IMMAGINE: Dettaglio della locandina di presentazione di Àrbores
«Posso arrivare a 52 anni e non conoscere questa storia?». In un contemporaneo desideroso di affacci luminosi e incoraggianti sul domani, l’economista e regista nuorese Francesco Bussalai riferisce a SE24 la domanda sorta dopo una lettura illuminante – “Colpi di Scure e Sensi di Colpa” di Fiorenzo Caterini (Carlo Delfino Editore, 2013) – che lo ha condotto a girare il docufilm “Àrbores”. L’opera sarà proiettata mercoledì 13 aprile al Teatro Eliseo di Nuoro, alle 20,30. L’hanno prodotta TerraTrema Film e Associazione culturale Cuccuru Nigheddu con il supporto della Regione Sardegna e in collaborazione con Ilisso Edizioni, Cineteca Sarda, Università di Cagliari e Terra de Punt. Le musiche sono di Antonio Bacchiddu, Sainkho Namtschylak, Yishaq Zonza e Kenze Neke. La voce recitante è di Stefano Ferrando.
“Àrbores”, premiato al Babel Film Festival 2021, mette al centro il bosco del Monte Ortobene, a Nuoro. Un polmone verde che ha un vissuto comune ai boschi isolani, colpiti nell’800 dalla mano affilata del governo piemontese. Diverse penne denunciarono i fatti. Antonio Gramsci scrisse: “L’isola di Sardegna fu letteralmente rasa al suolo come per un’invasione barbarica. Caddero le foreste che ne regolavano il clima e la media delle precipitazioni atmosferiche”. Ne parlarono il Nobel Grazia Deledda, come Salvatore Cambosu e Giuseppe Dessì. E Peppino Mereu lanciò un’invettiva in una sua poesia.
Oggi l’Ortobene cantato da Grazia Deledda ricresce tra le voci delle generazioni che l’hanno abitato o lo abitano. Tra i suoi abitanti c’è, da qualche anno, lo stesso Francesco Bussalai. Quando nel 2017 è tornato alla sua Nuoro ha scelto di vivere nella casa acquistata negli anni ’40 dalla nonna in quel luogo che oggi appartiene a nove famiglie. E precisa: «La mia non è una di quelle famiglie. Nonna comprò 300 metri quadri di monte con rocce e pietre in mezzo al bosco». Quando si è trasferito ha letto il libro di Caterini: «Mi ha fatto scoprire una storia che ignoravo e che le future generazioni dovrebbero conoscere», dice il regista (ai microfoni di SE24 anche nel video in coda).
E in molti vogliono conoscerla, dato che la proiezione ha quasi riempito la sala nei diversi turni.
«La gente ha voglia di tornare al cinema e incontrare gli autori. Il tema del disboscamento interessa molto anche le scuole che hanno apposite proiezioni e che mi stanno chiedendo altre date. Tengo molto che questa vicenda sia portata all’attenzione dei quindicenni».
È un lavoro sulla memoria perduta, unn filo conduttore quasi inevitabile?
«Quando mi sono trasferito mi sono riappropriato del bosco e vorrei che nel film passasse un approccio diverso nei confronti dell’albero e della natura: oggi ce lo siamo un po’ perso».
A chi appartengono le voci della narrazione?
«Ci sono studiosi come Caterini e il linguista Massimo Pittau, scomparso due mesi fa, che andrà rivalutato per le cose che ha scritto sulla storia della Sardegna. Poi ci sono gli anziani che hanno abitato il bosco. E infine i bambini di quattro anni che sono nati qua e ai quali faccio da zio da quando sono arrivato: solo l’altro giorno abbiamo fatto le discese in slittino. Questa parte con i bambini è venuta quasi naturale, perché dopo i vecchi che avevano voglia di raccontare mancava il futuro».
Il film, un racconto in tempo reale del corso della natura, ha richiesto un impegno di osservazione per tre giorni di riprese al mese, giorno e notte, per 24 mesi. Quali sono state le problematiche maggiori?
«In realtà ha richiesto molti più giorni. Avrei dovuto girare con parti tecniche e aiuti in esterno ma eravamo in pieno lockdown e tutto si è allungato molto. Abbiamo dovuto rigirare le scene il giorno dopo se la luce del precedente non andava bene. Inoltre racconto tutte le stagioni e volevo una scena con la neve. È stato un lavoro molto lungo, anche di rifinitura, ma sono contento del risultato per come è girato, montato e del suono».
Un aneddoto?
«I rumori: il montatore si è fermato varie volte per capire se il vento e gli uccelli fossero nel film o nel tempo reale».
Parlare di ambiente è parlare anche di lavoro, altro tema che è caro nel percorso professionale di Francesco Bussalai, che lo ha portato anche alla realizzazione della manifestazione “Il Cinema racconta il lavoro” e a girare “Cancelli di fumo”. In questo caso con quale lente è osservato?
«Prima il bosco dava da mangiare a molte persone ma avevano un approccio rispettoso. Nell’800 arrivò anche l’editto delle chiudende e con le privatizzazioni cambia tutto e si passa a un approccio utilitaristico. L’incendio di questa estate dice molto: se pensiamo in termini utilitaristici, turismo compreso, è sempre pericoloso. Meglio ragionare su una fruizione diversa del bosco».
E per l’autore che altro lavoro da fare ?
«Una parte del mio lavoro sara portare in giro questo film nelle scuole e lo sto facendo con Fiorenzo Caterini. Poi le tre prioiezioni in programma a giugno in Piemonte mi confermano che non è una storia solo locale ma che interessa tutti: oggi succedde per l’Amazzonia. A parte questo film ho già un progetto nuovo da girare ma è tutto ancora da inziare».
Manuela Vacca
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