Dall’inviata Manuela Vacca
A Mamoiada il lavoro in vigna è questione di famiglia, di eredità che lega l’uomo alla terra generazione dopo generazione. Questo territorio di Cannonau (e, per una piccolissima percentuale, di Granazza, riscoperta in purezza nei primi anni 2000) continua a proiettare il proprio futuro enologico in fedeltà alle scelte di sviluppo sostenibile. Così stanno facendo i 70 soci (tra cui una decina di donne) di Mamojà, associazione dei viticoltori e produttori di vino, che ha organizzato l’edizione 2022 di ‘Mamojàda vives‘ (4 e 5 giugno).
Durante la due giorni dedicata al vino – pensata per un confronto con i giornalisti di settore ma con uno spazio di degustazione aperto a tutti – sono state lodate le bottiglie. “Ci sono margini di miglioramento ma i vini sono espressivi, di grande chiarezza e a fuoco”, è stato detto dagli esperti, con un plauso per la nuova visione di Cannonau abbracciata e per la strada percorsa nell’ultimo quinquennio.
Prima del 2015, anno di nascita dell’associazione, erano tre le cantine che imbottigliavano il vino. Oggi sono 33 e 22 di queste sono associate a Mamojà. Poi il paese conta un numero a tre cifre di cantine familiari: 200 su 2500 abitanti, abituati sin da piccoli a dare una mano nei vigneti che oggi si estendono su circa 350 ettari.
«Avevo 13 anni quando ho iniziato a lavorare in vigna e a 19 ho capito che ci credevo», dice a SE24 il ventiduenne Mattia Muggittu, il più giovane viticoltore in paese. Studia a Oristano per diventare enologo e prosegue un sogno iniziato in casa con l’acquisto di un piccolo vigneto da parte dei genitori, negli anni 90. Sua madre Franca Tramaloni aveva alle spalle una famiglia di viticoltori. Il padre Peppino, anno dopo anno, si è appassionato e ha impiantato nuovi vigneti. Il figlio Mattia raccoglie questo impegno affiancando sul campo il genitore e lo zio Gian Piero. Così stringe il suo personale legame con la vite. La madre lo ascolta e svela: «Mio figlio è profondamente radicato. Non è voluto andare a studiare fuori Sardegna per poter seguire la vigna nel week-end».
Del paese ospitale il vignaiolo vuole preservare i valori: «A Mamoiada stiamo puntando a non perdere le tradizioni. Per esempio l’atto di dare 5-10 litri di vino alla questua per la festa religiosa viene prima dell’imbottigliamento», spiega. C’è un sentire comune attorno alla cura della vite: «L’aspetto associativo di solidarietà, di aiuto in vigna, resta molto forte e in altri posti forse manca». E precisa: «Sì, c’è una sana competizione ma senza affondare il vicino perché qui si è capito che con l’unione guadagniamo tutti. E si sostengono insieme certi costi, come quelli per un agronomo».
Molto giovane anche il neo presidente di Mamojà, Giovanni Ladu, che guardando ai 7 anni del collettivo fa un atto di umiltà e di fede. «Siamo ancora alle elementari ma vedo un’associazione giovane che punta a valorizzare il territorio», racconta a SE24. Sembra che Mamoiada sia attraversato da un cordone ombelicale tenace e lunghissimo, tipico di quei luoghi dove la terra è testamento d’amore tra padre e figlio.
«Abbiamo la possibilità di vivere felici nel nostro paese facendo un lavoro tra quelli che dà più soddisfazione – continua, parlando dei tempi che definisce ‘giusti’ -. Siamo fortunati. Abbiamo vigne centenarie, ci hanno lavorato tre o quattro generazioni e bisogna valorizzare quanto ci hanno lasciato i nostri nonni, che hanno fatto un grande sforzo. E nel futuro i nostri figli e nipoti proseguiranno».
A lui è rimasta in testa una frase che aveva sentito, cioè che la vigna si fa per i nipoti. Ci si ritrova: «Nel nostro piccolo siamo i guardiani del nostro pezzo di terra. Come guardiano cerco di curarlo nel modo migliore possibile». È convinto che le prospettive siano aperte. Gli esperti all’incontro invitano alla riflessione anche sulla denominazione, tema su cui gli associati si stanno in realtà già confrontando. In generale la visione è chiara: «Abbiamo questo lavoro e dobbiamo puntare a tenercelo e al contempo accrescerlo, con l’associazione a fare da organo di garanzia», conclude.
«A Mamoiada ci sono i fatti, non solo le parole. E non vengo qui per cambiare perché non c’è nulla da stravolgere», sottolinea l’agronomo Ruggero Mazzilli durante l’incontro “Bioviticoltura territoriale: un nuovo progetto nell’agro di Mamoiada”. Tra i temi la biodiversità, «che permette di spezzare il ciclo dei patogeni» (al di là dell’aspetto paesaggistico che continua a essere importante) e le stazioni nel vigneto per raccogliere i dati del microclima in un sistema con antenna e sensori.
I dibattiti, gli assaggi, i brindisi, i racconti e le risate non fanno che assestare meglio lo sguardo del presente. È già volge al futuro, include chi c’è ora e chi verrà dopo. Nuove vite da vivere, senza dover andare via da casa. Il titolo della manifestazione ‘Mamojàda vives’ lo prometteva in partenza nelle sfumature del significato. Mamoiada bevi. Ma anche abita e vivi.
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