Foto di Roberto Ziranu

Tra le sue mani il ferro si fa luce, rinnega ogni gelo ed esplode in sfumature cangianti, muta in materia leggiadra. E nell’ultima ricerca spicca nell’eleganza di farfalle terse di cielo. L’artista Roberto Ziranu, alle spalle quattro generazione di fabbri, ha appreso i segreti del martello e del fuoco e ha intrapreso nuove strade per creare emozionanti pezzi unici scegliendo, nel 2004, di lasciare la bottega di famiglia a Orune per aprirne una sua a Nuoro.

Lo scorso anno aveva pubblicato un libro autobiografico, un racconto d’immagini in cui narrare la sua “Anima ferrosa”. Lo aveva presentato, per la prima volta, ad Assisi, un luogo particolarmente speciale, a partire da una mostra nel 2019. “La città di San Francesco mi ha spalancato gli occhi”, ricorda. Invece in questi mesi sta lavorando a un nuovo progetto per il 2022: una mostra di dodici ritratti su lastra, omaggio ad altrettanti personaggi isolani con la curatela della storica dell’arte Daniela Madau. “Sono lastre graffiate, molate e fiammate che rappresenteranno sei uomini e sei donne che hanno dato lustro alla Sardegna. Spesso si fa l’errore di riconoscere alcune figure importanti per la nostra storia quando non ci sono più”, racconta a SardegnaEventi24 precisando che uno di questi personaggi è vivente. Lo scultore anticipa che la mostra girerà diversi musei sardi e a ogni tappa si aprirà dando maggiore risalto, a seconda della località, a una delle figure senza escludere le altre. Qualcuno lo ha conosciuto personalmente, come il celebre compaesano Costantino Nivola: “Quando ero ragazzino eravamo amici delle nipoti e lui spesso si intratteneva con tutti noi”.

Lo stile delle sue sculture di ferro è definito dal tenace sodalizio fra moderno design e tradizione sarda. Dalla sua sperimentazione sono nate iconiche figure femminili. “Tutto comincia dalla zappa di mio nonno che avevo tenuto per me. Curvandola e chiudendola diventava un corsetto”, racconta sullo studio di trasformazione dell’utensile contadino, che arriva persino ad assumere la forma dell’autentico gambale dei pastori.

Da qui un percorso che lo condurrà ad esposizioni personali e collettive, alla fama internazionale (complici i lavori realizzati a Porto Cervo) e a riconoscimenti, come quello alla Biennale Internazionale d’arte di Roma del 2018. Identificative del suo tratto anche le raffinatissime vele, nate in un moto di vicinanza alle persone colpite dall’alluvione di Capoterra del 2008. Una, alta tre metri e dedicata allo skipper Andrea Mura, si erge nella darsena del porto di Cagliari. L’ultima delle sculture permanenti, una farfalla simbolo di trasformazione e rinascita, è stata posata ad Assisi.

La Sardegna resta costante di ogni creazione. “Sono un ragazzo fortunato, uno che crea dalla materia povera, figlio di una dinastia di artigiani e cresciuto tra la polvere di ferro, che mette l’anima dentro un’opera”, afferma. E precisa: “non mi interessa essere considerato artista, sarà il tempo a dirlo”. L’arte, quindi, è “qualsiasi cosa che dà emozione, che oggi fa star bene me e domani chi ne vede l’esito”. Si appassiona quando stringe connessioni con l’osservatore che libera una lacrima davanti all’opera. “L’arte fa incontrare le persone e può far nascere amicizie”, sorride. Forse c’era una caccia alla lacrima anche nella prima sperimentazione, come ricorda: “È stato difficile iniziare la ricerca dentro il ferro, una materia nera in cui il colore nascosto va tirato fuori. La lacrima è parte dell’emozione: se scende mi purifica”.

Il ferro è la sua metodica di indagine sulla luce e sull’isola stessa. “È il mio sogno raccontare i miei colori, quello che mi circonda e trovare me stesso nella materia”. Giallo, rosso, melanzana, viola, verde blu come liquido buio o come firmamento, e le altre sfumature. “Quanti colori ha il ferro?“, si domanda ancora oggi e si chiede: “E il blu infinito, quanto è grande? L’acqua profonda diventa nera ma se guardi cielo e mare trovi anche la linea che li fa incontrare. Questo blu è perdersi e al contempo trovare te stesso”.

A Nuoro però non c’è il mare, c’è l’azzurro tra le piante. “Sono in via Limbara da quindici anni, in un polmone verde dove posso vedere gli alberi che si muovono, mai statici. Sto in una via dove non mi disturba nessuno”. Serve quiete per creare, ridefinire le tecniche. “Per dipingere sul ferro senza pennello ho inventato la fiamma su lastra”, annuisce. Si svela un rapporto diretto con il fuoco, senza ossidi, nessuna miscela. In fondo deve essere un piacere: “Per me la cosa più bella della materia è forgiare, lucidare, incidere e fiammare. il ferro non è più picchiato ma quasi accarezzato”.

E poco più che cinquantenne intende continuare a parlare della sua terra nelle sue creazioni: “Il ferro mi ha dato tanto ma c’è ancora altro da scoprire”. L’intento è concedere spazio alla ruggine. “È qualcosa di vivo, che prende colore con il contatto con aria, umido, acqua. Le nuove opere – continua Roberto Ziranu – saranno ruggine, racconto del tempo, una sorta di ritorno alle origini. Qui non inseguo il colore, ma non è contraddizione: lascio decidere al tempo i colori che l’opera assumerà a seconda della collocazione”. Il tempo è un viaggio e l’opera lo testimonia.

Se invece dovesse compiere lui un viaggio nella sua Sardegna non sceglierebbe l’auto. “La moto, forse. Meglio ancora la barca: senza casco, con il vento in faccia a prua, respirare vento e mare. Un contatto speciale con la natura. Oppure lo faccio correndo a braccia aperte, come un bambino”.

Manuela Vacca

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