Cagliari, 1° maggio 2024. La città si sveglia sotto un cielo terso, attraversata da un silenzio denso, carico di attesa. Poi, lentamente, la devozione prende forma. È la Festa di Sant’Efisio, la 368ª edizione di una promessa solenne fatta nel 1656 per invocare la fine della peste. Da allora, ogni anno, il popolo sardo rinnova il suo voto con una delle processioni più imponenti e sentite d’Europa. Dall’alba, nel quartiere Stampace, si celebra la Messa dell’Aurora in sardo. Poi, il cocchio dorato che custodisce il simulacro del Santo si prepara a varcare la soglia della chiesa. Ad aprire il corteo ci sono le tracas, carri addobbati con fiori e trainati da buoi. Dietro, oltre 2500 persone in abiti tradizionali provenienti da ogni angolo dell’isola, 270 cavalieri, suonatori di launeddas e miliziani. Un fiume umano che cammina tra petali, canti antichi e mani giunte.
Il cocchio attraversa via Roma, si dirige verso Giorgino, dove inizia il pellegrinaggio vero e proprio. Nora è lontana, 65 chilometri da percorrere tra Sarroch, Villa San Pietro e Pula. È lì che il Santo venne martirizzato, ed è lì che si rinnova la fede, passo dopo passo.
Il 4 maggio, Efisio rientra a Cagliari accolto da una fiaccolata commossa. È il culmine di una festa che non è solo fede, ma identità, tradizione, appartenenza. Perché Sant’Efisio non appartiene solo a Cagliari: è il cuore stesso della Sardegna che, una volta all’anno, si mette in cammino per ringraziare, chiedere, sperare. Una processione. Un popolo. Un Santo.
E una promessa che non smette mai di essere mantenuta.
