Proseguiamo la nostra indagine sul colonialismo italiano con Valeria Deplano, che insegna Storia dell’Europa contemporanea e Storia del mondo contemporaneo presso l’Università degli Studi di Cagliari e si occupa di storia del colonialismo e della decolonizzazione in Italia e in Europa; storia delle migrazioni in età contemporanea e storia del fascismo. Se non l’avete ancora fatto, vi invitiamo a leggere i due articoli precedenti, pubblicati qualche giorno fa, e a proseguire con questo nuovo articolo.

Valeria Deplano, spesso le leggi razziali vengono addebitate all’amicizia tra Mussolini e Hitler; in realtà, furono pensate e scritte in seguito all’occupazione italiana dell’Etiopia.
Le prime leggi razziali vengono promulgate nel 1937, nel contesto appena descritto, quindi prima delle leggi antisemite del 1938. Dopo una legge che puniva quegli italiani che avessero messo in pericolo il prestigio della razza, arrivò una legge che proibiva il madamato, la pratica con cui fin dall’Ottocento gli uomini italiani in colonia stabilivano un rapporto di “concubinaggio” temporaneo con donne africane, che fungevano anche come loro domestiche. Dopo l’occupazione dell’Etiopia un contesto in cui i rapporti sessuali “interrazziali” erano considerati dannosi, tale pratica fu proibita. Nel 1940 a tali provvedimenti se ne aggiunse un ultimo, quello sul cosiddetto “meticciato”: i figli nati da una relazione tra un uomo italiano e una donna africana non ereditavano la cittadinanza del padre, neanche se questo avesse voluto riconoscerli. Era e sarebbe rimasta la prima volta, nella storia d’Italia, che la cittadinanza non passava per il sangue del padre. Avere sangue “nero” nelle vene era condizione sufficiente per non poter essere inclusi all’interno del corpo della nazione.
Tutto andava nella direzione di stabilire una separazione netta tra italiani/bianchi e africani/neri: compresi i piani regolatori, che negli stessi anni miravano a creare zone delle città non accessibili alla popolazione locale, instaurando quindi una situazione di apartheid.

Quali furono i danni provocati subito e quali quelli a lungo termine?
Il colonialismo italiano innanzitutto ha provocato danni alle persone che ne subirono le manifestazioni più immediatamente sanguinose: le persone che fin dal XIX secolo furono internate in campi di detenzione in cui non erano rispettate neanche le minime condizioni igieniche, le persone che vennero deportate e internate in Italia, le persone costrette a marce forzate nel deserto e chiuse in campi di concentramento, le persone vittime di esecuzioni sommarie e spesso pubbliche, le persone -militari e civili- uccise dalle armi non convenzionali usate nella guerra d’Etiopia, le vittime degli incendi e dei saccheggi, le persone di Addis Abeba assassinate nel raid ordinato dal viceré Graziani, che fu una vera e propria caccia all’etiopico, le migliaia di persone – stavolta perlopiù monaci – massacrate a Debre Libanos e tutte le altre uccise in operazioni con cui i comandi militari italiani provavano a reprimere una resistenza capillare che durò in Libia sino al 1931 e in Etiopia sino all’arrivo degli inglesi.
I danni furono anche sociali, le popolazioni nomadi furono costrette ad una sedentarizzazione funzionale ai progetti del colonizzatore; i terreni furono espropriati e trasformati, ancora una volta per assecondare un progetto imposto dagli italiani in funzione di una società coloniale che strutturalmente metteva al primo posto i colonizzatori. Tutto questo, se ebbe l’impatto maggiore nel momento in cui si verificò, trasformò chiaramente le società dei colonizzati anche per i decenni a venire. Così come i colonizzati pagarono ciò che non fu fatto: ad esempio le colonie italiane erano quelle in cui il tasso di istruzione delle popolazioni locali era più basso, al momento del raggiungimento dell’indipendenza.

Ringraziamo Valeria Deplano per la sua disponibilità e vi diamo appuntamento tra qualche giorno per la quarta parte dell’intervista.