-Beniamino, ti capita mai di sognare quando stavi dentro?

-Io non sogno, Marchino, però ce l’ho sempre qua davanti.

Marco Buratti è un investigatore privato senza licenza e con modi poco ortodossi. Dopo aver scontato ingiustamente sette anni di carcere, vive nel retro di un bar, dove ogni sera si suona musica dal vivo, rigorosamente blues. L’esperienza della villeggiatura brucia ancora sotto pelle. Lo chiamano Alligatore perché vive nella laguna veneta, o perché, nel tentativo di porre rimedio a qualche ingiustizia, si muove a pelo tra mondi e codici diversi. Con lui, l’inseparabile compagno Beniamino Rossini, maniere spicce, mira infallibile, carattere animoso e generoso, modi della mala milanese di un tempo.

Tutto ha inizio nel 1995, quando le Edizioni E/O pubblicano La verità dell’Alligatore di Massimo Carlotto, in copertina c’è il rettile vestito da investigatore: impermeabile, cappello, occhiali da sole e sigaretta. Nove romanzi e un fumetto fanno parte della famosa serie. Massimo Carlotto è uno scrittore amatissimo: venticinque anni di romanzi, tante storie e un unico e inconfondibile universo poetico, tinte noir per un ritratto dell’Italia nera dei nostri tempi. 

Qualche anno fa, su Raidue e in anteprima su Rai Play -dove è ancora disponibile- è andata in onda la trasposizione televisiva dell’universo carlottiano. La serie, coprodotta da Domenico Procacci e Fandango, è diretta da Daniele Vicari e da Michele Scaringi.  

Marco Buratti è interpretato da Matteo Martari, Beniamino Rossini da Thomas Trabacchi, Gianluca Gobbi è Max detto La Memoria, l’ambientalista pacifista amico dell’Alligatore. Il tris di donne meravigliose è formato da Valeria Solarino, che interpreta Greta, l’affascinante cantante blues amata dall’Alligatore; Eleonora Giovanardi è Virna, la barista del locale blues; Shalana Santana è Marielita, botanica, amica dell’Alligatore e fidanzata di Max. 

La serie non ha tradito le aspettative ed è stata molto apprezzata sia dai lettori di Carlotto sia dal pubblico televisivo; la regia di Daniele Vicari è sempre una garanzia. Curiosa di conoscere quali fossero le impressioni del padre di Alligatore, ho chiesto a Massimo Carlotto di commentare quest’avventura televisiva. Ci siamo addentrati nelle atmosfere nebbiose e lagunari dell’Alligatore, ovviamente a suon di blues e con marcata cadenza veneta.

Massimo Carlotto, complimenti per il successo della serie tv tratta dai tuoi romanzi. Il progetto di Procacci era una scommessa difficile: i lettori, spesso, non accettano le trasposizioni televisive, ma questa volta l’operazione è riuscita.

È un prodotto ben riuscito perché era netta la differenza tra il romanzo e la serie televisiva. E questa nettezza, secondo me, ha salvaguardato tutti e due i progetti, perché il vero obiettivo era quello di riprodurre l’ambiente dell’Alligatore, riprodurre i personaggi, il loro punto di vista. Credo che Vicari abbia fatto un grandissimo lavoro come showrunner. L’intenzione di tutti, soprattutto la mia, era proprio che fossero due progetti diversi.

C’è stata e c’è grande attenzione da parte dei tuoi lettori. Hai ricevuto qualche richiesta particolare?

Mi arriva quotidianamente la richiesta che nel prossimo romanzo ci sia Greta, lei è piaciuta così tanto, sta attirando molta curiosità. Ho già detto di sì, era chiaro che sarebbe andata a finire così. Greta deve ritornare dopo 25 anni nella vita dell’Alligatore, è un personaggio che non è stato mai sviluppato e adesso è arrivato il momento di farlo. Speravo che i tantissimi lettori, molto affezionati, riconoscessero i personaggi e si identificassero, ed è andata proprio così: hanno riconosciuto in Martari l’Alligatore, in Trabacchi Rossini. Questo riconoscimento generale mi ha fatto veramente piacere.

Il tuo cameo ha suscitato grande entusiasmo nei lettori. Che sensazioni hai provato mentre ti muovevi fisicamente nel tuo romanzo?

Avevo chiesto un cameo perché ci tenevo moltissimo, volevo fare come Hitchcock: passare con la mia pancia dentro la scena. Semplicemente questo, ma poi mi sono ritrovato il copione in mano, la prova costume e mi sono entusiasmato. Durante il primo ciak c’è stato un problema, mi sono reso conto che l’Alligatore mi stava corrompendo! Ho pensato “questo è il mio personaggio che corrompe l’autore, chissà cosa penserà la gente!” Sono rimasto un minuto con la mano tesa per prendere i soldi, ma i soldi non li prendevo mai e quindi abbiamo dovuto rifare la scena. All’inizio avevo questo timore, poi invece mi sono divertito moltissimo.

Come avete lavorato sulla riscrittura? Che rapporto hai avuto con Daniele Vicari?

Con Daniele Vicari e con gli altri due sceneggiatori, Laura Paolucci e Andrea Cedrola, c’è stato un rapporto molto proficuo. Abbiamo parlato a sfinimento e questa è una cosa fondamentale. Quando in questo tipo di lavori parli, c’è uno scambio continuo di idee e grande attenzione, questo non solo facilita, ma esalta le capacità e le possibilità del lavoro. Ciò che mi ha colpito più in assoluto è stato l’entusiasmo intorno a questo progetto da parte di tutti e, sai, l’entusiasmo è un motore straordinario per rendere meglio tutto.

Non abbiamo mai visto una serie hard boiled in tv. Ti sei ritrovato nella costruzione dei personaggi?

Sì, mi sono ritrovato anche se ovviamente, come ho detto all’inizio, c’è una diversità di percorso per cui i personaggi hanno una cosa in più o una cosa in meno rispetto ai romanzi. 

Il grande punto di domanda era come sarebbe stata accettata, in questo paese, la serie hard boiled. Perché non solo è la prima serie hard boiled in Italia, ma è una serie hard boiled in cui i personaggi -che non sono esattamente consolatori- dicono cose che non si sono mai sentite in altre serie. Questa è stata una grande vittoria, perché il messaggio della serie è passato tranquillamente. 

Il noir racconta la contemporaneità, la storia è un po’ una scusa per raccontare l’Italia nera di oggi, le sue criticità.

Sì. La storia orizzontale, che ovviamente non poteva essere quella di 25 anni fa, è veramente di stringente attualità. Si parla della questione dell’inquinamento, della rete di capannoni riempiti di rifiuti nocivi, dell’organizzazione di camion per il trasporto e degli sversamenti nel territorio. È stato fatto un vero omaggio al Veneto, non solo dal punto di vista visivo delle scene, ma soprattutto per questa grande denuncia. È di stringente attualità perché prima dell’inizio della serie, qualche mese fa, hanno inquisito oltre cento persone per il medesimo reato. È una cosa incredibile, però è successo. Questo significa che era la direzione giusta. 

C’è stata una bella interpretazione del territorio. L’acqua è elemento essenziale del racconto, lo ha strutturato con i suoi colori e umori. Come avete scelto i luoghi?

I luoghi li ha scelti Vicari. Qualche mese prima d’iniziare le riprese, sono venuti i due registi e altri della troupe, hanno fatto un lavoro veramente minuzioso a partire dai luoghi del romanzo. Rossini abita nella stessa casa che è descritta nei romanzi, a Punta Sabbioni, in laguna. Partendo dal romanzo c’è stata una ricostruzione del territorio molto precisa, è anche molto bella perché le immagini sono state particolarmente curate.

Non solo le immagini sono curate, è molto curata anche la lingua, il veneto.

È stato un trauma anche per i veneti, sai, perché non siamo abituati a sentirci, ad ascoltarci in TV, per cui c’è stata una sorta di scossa elettrica. Prima mentre facevo la spesa, mi ha fermato un lettore e mi ha detto “Ho visto la serie -tutto in dialetto, ovviamente- sentire il veneto in televisione è stato straniante.” 

È stato particolare per noi e credo in generale anche per il pubblico, perché è una parlata molto ricca. Non capita di sentire spesso i dialetti del Nord, siamo più abituati al napoletano e al romano, che ormai conosciamo, perché abbiamo visto una marea di fiction. Questo è un esperimento linguistico interessante. Anche io rivendico la mia lingua, mi piace molto il veneto: è simpatico da ascoltare.

Il blues, la musica, dà il ritmo alla storia.

Ci sono tre livelli musicali all’interno della colonna sonora. Il primo sono le musiche, veramente belle, di Teho Teardo. Poi ci sono i gruppi blues -uno per puntata- che suonano la loro musica all’interno del locale dell’Alligatore. Il terzo livello sono le musiche del fondo Portelli, ci sono parecchi brani che arrivano da quella esperienza, brani mai ascoltati in Italia. Alessandro Portelli ha girato gli Stati Uniti registrando la musica di strada, questo blues di strada è particolarmente interessante proprio dal punto di vista sonoro. L’idea di Vicari, fin dall’inizio, era che il blues fosse un punto di partenza per ricreare il mondo dell’Alligatore.

L’Alligatore è un investigatore socratico. Massimo Carlotto come scrive i libri? Manda in giro i personaggi a risolvere i casi, oppure lavora prima sulla trama e la scrittura è un momento successivo?

Non lavoro mai sui personaggi, ma lavoro sulle storie per questo mi capita di lasciare a casa l’Alligatore per anni – una volta mi è capitato di non scrivere sull’Alligatore per 7 anni- perché avevo voglia di scrivere altre storie dove l’Alligatore non c’entrava. Lavoro sulle storie, in quella sorta di mix tra realtà e finzione romanzesca che è la mia cifra, sto all’interno di quella e poi penso a quali potrebbero essere i personaggi giusti. Certe volte tocca all’Alligatore, altre volte no. Ho promesso per il 2022 un nuovo romanzo dell’Alligatore, per fortuna stavo già lavorando alla storia e potrò garantire la parola data. 

Hai un rapporto stretto con i lettori e questo sicuramente aiuta.

Sì, per me è fondamentale. Se non avessi un rapporto stretto, farei altro. Per me è proprio fondamentale.

Alligatore e soci spesso si muovono in Sardegna, nella seconda serie ci sarà spazio per l’isola?

Io ci conto molto. Vicari ti risponderà in maniera più precisa di me, ma da quello che ci si era detto sin dall’inizio, le prossime puntate dovrebbero essere quelle relative a Il Mistero di Mangiabarche.

Niente da togliere a Martari, però Trabacchi è stato eccezionale. Si è calato veramente bene nei panni di Beniamino Rossini.

Tutti hanno fatto un lavoro molto approfondito sui personaggi. Trabacchi ha letto anche La terra della mia anima, il libro che ho scritto e dedicato al vero Beniamino Rossini. Ha fatto un lungo lavoro su questo testo. Quando l’ho visto la prima volta ho capito che era entrato nel personaggio, tanto che altri che hanno conosciuto il vero Rossini mi hanno detto che ha dei tratti, dei momenti che ci assomiglia veramente, per cui è proprio entrato nel personaggio. Poi ha creato delle cose tipo “sì o no, Marchino?” Incontro persone che mi dicono “sì o no?!” imitando Trabacchi. Quando succede questo vuol dire che il personaggio è veramente riuscito. 

Il tuo ultimo romanzo, La signora del martedì, è molto interessante: dei personaggi dal vissuto così marcato si ritrovano a vivere in un albergo. Quali sono state le reazioni dei tuoi lettori?  

Nonostante il covid mi abbia fermato a metà promozione, il romanzo è andato molto bene. È piaciuto molto anche a un pubblico diverso dal solito, meno abituato al noir. Credo che sia il romanzo più noir in assoluto che ho scritto, ma questo è un dibattito aperto con i lettori. È un libro a cui tengo molto. Volevo da tanto tempo scrivere un romanzo partendo dai corpi dei protagonisti e qui ho trovato tre corpi che avevano in comune il loro uso sociale: erano corpi che si erano prostituiti, partendo da questo mi è piaciuto approfondire il discorso del dopo ed è nato La signora del martedì.

Grazie a Massimo Carlotto per la disponibilità. Se ancora non l’avete fatto, guardate la fiction dell’Alligatore e leggete i suoi libri, amerete ambienti, storie e personaggi. C’è una sola controindicazione: una volta conclusa la visione e la lettura, non potrete lasciare facilmente l’atmosfera blues e attenderete con ansia le prossime uscite!