Cosa è la famiglia? La famiglia è dove c’è amore; non importa quali e quanti siano i membri che la caratterizzano e i legami biologici o sociali al loro interno. Sembrerebbe un’affermazione del tutto banale, se non fosse che intorno a questi temi si scatenano una serie di giudizi morali, o meglio pregiudizi, difficilissimi da scardinare. Eppure, basterebbe allungare lo sguardo sui secoli passati, per notare quante tipologie di famiglie siano sempre esistite e che, spesso, la concezione occidentale della famiglia “padre madre e figli” era la meno presente nello stesso Occidente, in contesti in cui nonni, zii, cugini, figli adottivi, figli di precedenti matrimoni, secondi padri e seconde madri e quant’altro vivevano sotto lo stesso tetto.
Si potrebbe obiettare che in queste famiglie era presente, comunque, un legame biologico. La pratica de su fizu ‘e anima, in uso in Sardegna, e in altri luoghi, sino a pochi decenni fa, può rispondere a questa obiezione: con quest’usanza molto comune, un bambino o una bambina venivano accuditi ed educati da persone diverse dai propri genitori, sono figli senza un affido, senza adozioni, senza nuovi cognomi; si diventava “figlio dell’anima” con il consenso benevolo della Comunità.
La scelta di diventare genitori, di accudire e di educare dei bambini, oggi, è accompagnata da una maggiore consapevolezza. Quando si è impossibilitati dall’avere figli, si può fare ricorso alla fecondazione assistita, che permette la nascita di bambini tra coppie eterosessuali sterili, omossessuali e donne single.
Un punto chiave è il sentire comune, la comprensione, l’accettazione. Perché questo avvenga è necessario scardinare i pregiudizi attraverso la conoscenza, accogliere le nuove famiglie e le necessità di tutti e di tutte con il cuore, laddove il pensiero critico non sia sufficiente.
Per cercare di fare chiarezza su queste delicate tematiche, ho intervistato l’antropologa Corinna Sabrina Guerzoni, che si occupa di tecnologie riproduttive, di nuove forme di famiglia e di genitorialità e, con i suoi studi, ha esplorato la procreazione assistita in Italia, la surrogacy negli USA e attualmente, presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali di Bologna, dove lavora, sta conducendo una ricerca socio-antropologica sul fenomeno dell’embriodonazione.
Data la complessità e l’importanza degli argomenti trattati, abbiamo deciso di suddividere in più parti l’intervista.

Corinna Sabrina Guerzoni, ti occupi di tematiche attuali e molto interessanti, ma per certi versi non molto conosciute. Proviamo a sciogliere insieme i diversi termini. Cosa si intende per omogenitorialità?
Era un neologismo, entrato oggi nel linguaggio corrente, per definire la genitorialità di persone omosessuali. Deriva dal francese (“homoparentalité”) che è stato tradotto in varie lingue, come nella versione italiana di omogenitorialità. Spesso dietro al termine si nascondono critiche relative al suo uso.

Quali sono queste critiche?
Le critiche sono relative all’uso del termine. Con esso si tende a far prevalere su tutto l’orientamento sessuale del genitore. Cosa che non accade per altre situazioni. Ad esempio, non si usa mai, “eterogenitorialità” per definire i genitori eterosessuali sia perché è una condizione più diffusa sia perché è il modello culturalmente dominante. Omogenitoralità sottolineerebbe il pregiudizio riguardo al fatto che sia possibile solo essere genitori essendo eterosessuali, quando nei fatti la realtà sociale mostra una pluralità di forme.

Esistono, e sono sempre esistite, diverse tipologie di famiglie…
Esatto, son sempre esistite differenti e plurali forme di famiglia, ma si è cristallizzata (non solo in Italia ma nel contesto euro-americano) l’idea che vi sia un solo tipo di famiglia che prevalga sopra le altre. Il concetto di naturalità è spesso usato in questo senso come modo per indicare che la famiglia eterosessuale monogamica (composta da madre, padre e figli) sia quella naturale, quando nel corso della storia e delle varie realtà sociali possiamo individuarne altri tipi. Vi è stata insomma una naturalizzazione di un modello che si pone nello spazio pubblico come quello “naturale” e quindi legittimo, quando esiste realtà più complessa.

Tra i tuoi interessi di studio ci sono le tecnologie riproduttive. Di cosa si tratta?
Le tecnologie riproduttive sono mezzi che aiutano coppie e single a concepire grazie all’aiuto della medicina riproduttiva. Lo studio di queste pratiche ci mostra come le famiglie si creino, ma al contempo, se usate come lenti per leggere le relazioni di parentela, ci indicano quali elementi costituiscano nella contemporaneità i punti fondamentali dell’essere e del fare famiglia. Si è parenti se ci sono connessioni di sangue? Ha senso oggi parlare di sangue? Si è parenti se si individuano connessioni genetiche? Se sì, in che modo e quali altri elementi possono essere considerati per dare senso alle relazioni di genitorialità e di parentela oggi?
Chi studia la procreazione assistita evidenzia i modi in cui le persone diano senso a certi legami (sangue, geni), ma allo stesso tempo sottolineano quanto alcune di queste relazioni siano state naturalizzate nel tempo.

Oggi si è “genitori d’intenzione”: i figli non capitano, ma, sempre più spesso, vengono desiderati e cercati.
Anche genitori di intenzione è un’espressione inedita che indica però un punto importante: si diviene genitori per scelta, per volontà, per aver desiderato e poi messo in atto tutte le azioni che rendono una persona genitore. Il termine “intenzione” sottolinea questioni importanti, la sola connessione genetica o di sangue non sempre è sufficiente a diventare genitori. Essere genitori significa soprattutto avere attenzioni costanti per i figli, accudirli, dedicare tempo, attenzioni. Tutto questo si lavora nel tempo, l’intenzionalità la si dimostra nel quotidiano e non esclusivamente nell’atto di aver messo al mondo un figlio o essere connesso geneticamente.

La nostra chiacchierata proseguirà nel prossimo articolo, che sarà pubblicato tra qualche giorno.