Siamo giunti alla terza e ultima parte dell’intervista all’antropologa Corinna Sabrina Guerzoni, che si occupa di tecnologie riproduttive, di nuove forme di famiglia e di genitorialità e, con i suoi studi, ha esplorato la procreazione assistita in Italia, la surrogacy negli USA e attualmente, presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali di Bologna, dove lavora, sta conducendo una ricerca socio-antropologica sul fenomeno dell’embriodonazione.

Se non l’avete ancora fatto, vi invitiamo a leggere i primi due articoli, pubblicato qualche giorno fa, e a proseguire con questo nuovo articolo.

Corinna, nei tuoi studi ti rapporti con tutte le parti coinvolte?

Sì, è un approccio che ho messo a punto anche nelle varie ricerche perché credo sia importante mostrare il punto di vista di tutti i soggetti coinvolti, donatori, riceventi e anche cliniche della fertilità.

Il punto di vista del ricevente è abbastanza comprensibile, mi interessa quello del donatore: perché si decide di donare?

Ci sono diverse ragioni e molte dipendono dai soggetti ma soprattutto dalla società presa in analisi. Posso parlare delle donatrici californiane che ho personalmente intervistato. Molte di loro raccontano di essere diventate donatrici perché nella loro cerchia di amicizie o di parentela esistevano casi di infertilità. “Mia zia non riusciva ad avere figli e tanti anni fa una donatrice l’aveva aiutata. Ho capito la sofferenza e mi son detta che mi sarebbe piaciuto aiutare qualcuno”. Altre invece hanno sottolineato diversi aspetti, come il fatto di non volere diventare madri ma di voler lasciare comunque una traccia nel mondo, altre ancora hanno sottolineato l’aspetto economico. In California, ad esempio, vi è una compensazione economica che in Italia non esiste. 

Anche per i donatori vi sono numerose ragioni. aiutare qualcuno, poter fare un grande passo, sentirsi speciali. Sono tante e diverse le ragioni.

I figli conoscono la loro storia?

La risposta è dipende. In tutte le coppie/single omosessuali intervistate, i figli sanno e conoscono la loro storia, sanno di come si sia sviluppato tutto il percorso. Per le coppie eterosessuali, ora che mi occupo di embriodonazione, la situazione è più complessa. Sostengono di volergliene parlare, ma non lo fanno nell’immediatezza. Ogni famiglia gestisce questo aspetto in modo diverso anche se vi è una tendenza più di trasparenza per gli omosessuali rispetto agli eterosessuali.

In Italia c’è qualche proposta o percorso per modificare le leggi?

L’Associazione Luca Coscioni fa capo a molte istanze per richiedere che la legge garantisca l’accesso alla PMA a tutti. In conseguenza della sua attività, la legge 40/2004 ha subito nel corso degli anni interessanti cambiamenti, come l’introduzione dell’eterologa, la diagnosi pre-impianto per alcune coppie ecc. Quindi a livello sociale ci si sta muovendo.

Stiamo esplorando un campo molto vasto e interessante. C’è qualcosa che vorresti approfondire?

Spesso la riproduzione è posta ai margini del dibattito pubblico e trattata come qualcosa di intimo e di privato, ma la riproduzione è un fatto pubblico e politico, è un terreno di scontri ideologici, etici e politici. È importante discutere di questo aspetto perché fa parte dei diritti riproduttivi di ciascun cittadino.

Le discussioni e i dibattiti aiutano a far conoscere meglio le realtà e ad eliminare i pregiudizi. Quali potrebbero essere i canali per raggiungere il maggior numero di persone?

Dibattiti, letture, discussioni. Parlare delle esperienze che già esistono per poter scardinare tanti tabù e pregiudizi. Molti hanno fatto uso della PMA, ma in alcuni casi non si dice. Portare in piazza storie, rendere pubbliche certe esperienze può aiutare a rendere comune qualcosa che comune lo è già ma che rimane sempre un po’ nel retroscena.

Anche i mezzi di comunicazione di massa sono un potente strumento. Un punto dal quale partire per connetterlo alle realtà di tutti i giorni.

In modo semplice e chiaro…

Esatto, fruibile. Perché poi è quello uno dei punti difficili, rendere semplice qualcosa che è spesso rappresentato come complicato, ma che nei fatti non è.

Basterebbe, ma non è semplice, smettere di giudicare e capire e accogliere gli altri senza imposizioni e pregiudizi. E in questo l’antropologia aiuta! Ci puoi suggerire delle letture per approfondire le tematiche?

Per chi volesse approfondire queste tematiche, suggerisco due libri: “La natura scomposta. Riproduzione assistita, genere, parentela” dell’antropologa Alessandra Gribaldo, che affronta l’argomento dal punto di vista delle coppie etero italiane. Il secondo, è la mia monografia: “Sistemi procreativi. Etnografia dell’omogenitorialità in Italia”, che si focalizza sull’omogenitorialità.