Qualche anno fa ho avuto l’opportunità di incontrare Giovanni Impastato a Padria. Conservo un ricordo molto positivo della chiacchierata con lui e di quella serata.
È luglio a Padria. Un centinaio di sedie, silenziose e alla giusta distanza, aspettano sotto gli alberi che arrivi la sera, un po’ di fresco e le tante persone che animeranno la piazza. C’è voglia di vicinanza, di chiacchiera, di impegno civile.
Giovanni Impastato da qualche giorno si trova in Sardegna, ospite della Biblioteca gramsciana di Ales, per i consueti eventi in ricordo del fratello Peppino; cogliendo l’occasione un gruppo di amici e amiche decide di invitarlo a Padria e ora è tutto pronto nella piazza adiacente il Bar Gurulis Vetus, il cuore di questa manifestazione.
Giovanni aveva 25 anni quando una carica di dinamite uccise il fratello, Peppino Impastato, che di anni ne aveva trenta. Quella tragica circostanza ha segnato, per lui e per la madre Felicita, l’inizio della lotta per la giustizia e la verità. Peppino non è un brigatista, morto a causa della sua imperizia nel collocare una bomba; Peppino è stato ucciso dalla mafia. La sua voce forte e libera stava scuotendo la Sicilia intera, grazie alle armi più pericolose: l’intelligenza e l’ironia che ridicolizzano gli uomini d’onore. Quello stesso 9 maggio 1978, lontano da Cinisi, a Roma, un altro corpo verrà ritrovato: è il cadavere di Aldo Moro. Un capitolo oscuro per l’Italia repubblicana.
La piccola e pittoresca piazza si anima di curiosità e attenzione. Giovanni dedica, sino a tarda sera, anima e corpo, a dar voce, ancora e sempre, a Peppino, alle sue idee al suo coraggio. La riflessione parte dal suo ultimo libro “Mio fratello. Tutta una vita con Peppino”, nel quale ci presenta una prospettiva diversa, più familiare e intima e un inquadramento storico delle vicende. Il titolo è esplicativo e ben racconta la responsabilità morale e civile da lui assunta in questi anni.
Giovanni, è stato scritto tanto su tuo fratello Peppino Impastato. Noi tutti abbiamo imparato a conoscerlo e amarlo anche grazie al film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana. Perché hai deciso di scrivere “Mio fratello. Tutta una vita con Peppino”?
Nel libro ci sono alcuni fatti inediti, alcune immagini della memoria che completano questa storia. Senza togliere nulla ai libri precedenti e anche ai film che hanno contribuito a mantenere viva la memoria di Peppino; però, con questo lavoro ho voluto chiudere un cerchio: ormai non c’è più nulla da raccontare su Peppino, è stato detto tutto. Certo, lo si deve ancora studiare, analizzare e trasmettere alle nuove generazioni. Nel libro sono raccontati episodi che ci riportano indietro nel tempo e che vengono contestualizzati, ad esempio, la strage di mio zio che viene raccontata in un certo modo. Abbiamo vissuto la nostra infanzia e la nostra giovinezza negli anni sessanta e settanta: sono stati anni di lotta e d’impegno. Anni di cambiamenti epocali: la trasformazione della mafia da agricola a mafia urbana, ma anche episodi che sono rimasti nella storia, come il famoso raduno di Woodstock, le manifestazioni contro la guerra del Vietnam, la musica, i primi cantautori americani. Noi abbiamo vissuto quegli anni a contatto con la mafia, con il paesaggio stupendo, con il mondo contadino, li ho voluti contestualizzare perché ci hanno fatto capire tanto.
Nel libro parli della morte di Peppino come una vera e propria resurrezione.
Sì. L’ultimo capitolo del libro si occupa proprio della resurrezione di Peppino, una frase di mia madre. Lei sosteneva sempre “voi avete fatto risorgere Peppino, con l’impegno quotidiano, con il ricordo costante, seguendo la vicenda giudiziaria.” Peppino ci ha messo un po’ di tempo rispetto a Cristo, ma oggi possiamo dire che è vivo perché se ne parla costantemente, il suo messaggio è stato recepito da una buona parte dei giovani di oggi.
Come è avvenuta la resurrezione di Peppino?
Penso che la risurrezione sia avvenuta in questo modo: con la pubblicazione dei libri, quando è stato girato il film, quando la commissione antimafia ha elaborato la relazione sui depistaggi, quando sono stati condannati Tano Badalamenti e il suo vice all’ergastolo, come mandanti dell’assassinio di Peppino. Ecco, la resurrezione è avvenuta in questo modo.
Il vostro coraggio più grande è stato quello di non vivere il dolore tra le mura domestiche, come un fatto privato, ma di averlo offerto al mondo: avete aperto le vostre la porta della vostra casa e questa è stata la vera e propria sconfitta della mafia.
Sì, sicuramente è stata la sconfitta della mafia perché noi abbiamo voluto aprire la nostra casa a tutti, raccogliere le idee e il coraggio di Peppino, andare avanti. È stata mia madre, è stata lei a volere questa memoria, a seguire dettagliatamente tutto il processo. Abbiamo trasformato il dolore in un impegno vero e proprio. Non abbiamo avuto neanche il tempo di versare le lacrime, ci siamo subito rimboccati le maniche e siamo andati avanti senza perdere tempo, perché, inizialmente, Peppino veniva considerato un terrorista.
Che rapporto hanno i tuoi figli con lo zio?
Loro hanno un rapporto bellissimo, di continuità con Peppino. I miei figli hanno vissuto e vivono lo zio con orgoglio, con entusiasmo e con piacere, non l’hanno subito. Mia figlia è molto impegnata, lei è la presidente dell’associazione “Casa e Memoria Felicia e Peppino Impastato”, la Casa-Museo a Cinisi dedicata alla memoria di Peppino Impastato e di sua madre Felicia. Mio figlio non è impegnato come lei, ma è orgoglioso di essere nipote di Peppino.
Spesso incontri gli studenti nelle scuole, qual è oggi il messaggio di Peppino per i più giovani?
Sono tanti i messaggi di Peppino per i ragazzi, sicuramente, l’impegno civile e culturale. Il suo messaggio forte è: guardiamoci attorno, dobbiamo crederci, impegniamoci e cerchiamo di sconfiggere l’indifferenza e la rassegnazione. Perché l’indifferenza è pericolosa; lo diceva anche Gramsci, che è vostro e di tutti, e lui odiava gli indifferenti. Dobbiamo stare attenti a non entrare nella fase di rassegnazione. Le persone rassegnate mi fanno una grande paura perché non hanno bisogno della verità. E quando manca il bisogno della verità, non si fa altro che spalancare le porte a tutte le cose negative che possono mettere in pericolo quel poco di democrazia che abbiamo in Italia. Abbiamo poca democrazia in Italia e questi spazi si stanno restringendo sempre più.
Ringrazio Giovanni per la disponibilità e per l’impegno profuso negli anni affinché la memoria e l’esempio di Peppino Impastato, come semi preziosi, continuino a fiorire. E continui a fiorire il suo messaggio universale a favore della giustizia sociale, contro la mentalità mafiosa, la corruzione e contro tutte le oppressioni: “Ci meritiamo di crescere come cittadini liberi e consapevoli, capaci di apprezzare le cose belle, la musica, il cinema, la letteratura, l’arte in tutte le sue espressioni. Ci meritiamo di non vivere da schiavi, vittime dell’arroganza, dell’ignoranza, degli abusi di potere, della violenza vera e propria…”
